Il termine decadenziale si applica solo se l’assunzione diventa definitiva e comunque dopo sei mesi dall’inizio del rapporto
Pubblicato da Il Sole 24 Ore di oggi il nuovo articolo di Angelo Zambelli
A fronte di lavoratori assunti in prova, la normativa sui licenziamenti individuali (legge 604/1966, modificata nel 2010), è applicabile «soltanto nel caso in cui l’assunzione diventi definitiva e comunque quando siano decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro». Lo ha affermato la Corte di cassazione, con ordinanza 9282/2025, in relazione a una fattispecie in cui un lavoratore – soggetto a un periodo di prova della durata di sessanta giorni -, nell’impugnare il licenziamento intimatogli per mancato superamento della prova stessa, ha rispettato il termine di impugnazione stragiudiziale con richiesta del tentativo di conciliazione (non accettato dal datore di lavoro), ma non anche quello per il deposito del ricorso giudiziale.
La Corte di merito, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che il deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro fosse avvenuto «oltre il termine di decadenza». A tali conclusioni la Corte di appello di Venezia è giunta facendo applicazione dell’articolo 6 della legge 604/1966, a norma del quale l’impugnazione del licenziamento, «qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento», è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di sessanta giorni, dal deposito del ricorso giudiziale.
La decisione è stata impugnata dal lavoratore dinnanzi alla Cassazione per avere la Corte di merito errato nel ritenere applicabile al caso specifico la normativa della legge 604/1966. E ciò in quanto, a norma dell’articolo 10, come modificato dalla legge 183/2010, le «norme della presente legge» si applicano – per i prestatori di lavoro assunti in prova, come il ricorrente – «dal momento in cui l’assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro».
La Corte di cassazione, investita della questione, chiarisce che i giudici di merito, hanno fatto (acritica) applicazione della giurisprudenza di legittimità in materia di impugnazione del licenziamento individuale secondo l’articolo 6, omettendo di considerare «la particolare natura del rapporto di lavoro in controversia». L’ambito di applicazione del regime decadenziale previsto dall’articolo 32 della legge 183/2010 è circoscritto, infatti, a un numero chiuso di ipotesi di «allontanamento dal lavoro», tra cui non figura il recesso intimato durante il periodo di prova che neppure, però, può farsi rientrare tra «tutti i casi di invalidità del licenziamento», individuati dalla stessa norma, riferibili «unicamente alle ipotesi di recesso unilaterale del datore da un rapporto di lavoro che sia già in essere o perfezionato».
La non menzione, da parte del legislatore, del recesso intervenuto durante il periodo di prova deriva, prosegue la Suprema corte, dalla “diversa ratio” che connota l’istituto del patto di prova che, in quanto volto a consentire a entrambe le parti di valutare la reciproca convenienza del rapporto di lavoro, non può che comportare una disciplina differente, fondata su una logica di flessibilità contrattuale, incompatibile con la rigidità dei termini decadenziali previsti per i licenziamenti ordinari. Quindi in tal caso si applica la prescrizione ordinaria di cinque anni.
Di qui – al fine di evitare applicazioni automatiche della disciplina che non tengano conto della peculiarità del rapporto di lavoro in prova – il rinvio della sentenza impugnata alla Corte di merito.
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