Pubblicato da Il Sole 24 Ore il nuovo articolo di Angelo Zambelli.
Legittimi i licenziamenti individuali dei dirigenti effettuati durante il temporaneo divieto generale introdotto in via eccezionale a causa del Covid.
Non sono state ritenute fondate, infatti, le questioni di legittimità costituzionale riferite alle disposizioni che, durante il periodo di emergenza epidemiologica, hanno stabilito che il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti occupati, non poteva recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo in base all’articolo 3 della legge 604/1966, senza ricomprendere nell’ambito soggettivo di applicazione di tale previsione i lavoratori che rivestono la qualifica di dirigenti.
Così la Corte costituzionale, con sentenza 141/2025, depositata ieri, ha respinto i dubbi sollevati dalla Corte di cassazione e dalla Corte d’appello di Catania relativi a domande di reintegrazione di lavoratori inquadrati come dirigenti e licenziati «per ragioni inerenti al ridimensionamento del personale e alla riorganizzazione aziendale».
Il percorso logico-argomentativo seguito dalle tre ordinanze di rimessione è di analogo tenore. A fronte dell’emergenza pandemica, il legislatore, scegliendo di mantenere intatto il perimetro soggettivo della disciplina ordinaria, ha previsto l’applicazione del “blocco dei licenziamenti” nei confronti delle figure dirigenziali esclusivamente con riguardo alle procedure collettive, escludendo, invece, i casi di licenziamento individuale per ragioni oggettive. Di qui, secondo i giudici rimettenti, l’esistenza di una «vera e propria asimmetria di tutela» in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, in quanto, per i non dirigenti, la protezione era globale, derivante dal blocco sia dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, sia di quelli collettivi. E neppure a tale asimmetria di trattamento sarebbe stato possibile ovviare mediante interpretazione analogica, dato il carattere eccezionale della misura imposta dall’insorgenza dell’emergenza.
La Consulta ha preso le mosse dalla nozione legale di «dirigente, quale prestatore di lavoro subordinato che la legge distingue rispetto alle categorie dei quadri, impiegati e operai». In particolare – ha precisato la Corte, in linea con il suo costante orientamento in materia – il dirigente, in quanto «vero e proprio alter ego dell’imprenditore», ricopre all’interno dell’azienda un particolare status che giustifica nei suoi confronti un trattamento differenziato, quanto alla disciplina del recesso.
Con tale scelta discrezionale – prosegue la Consulta – il legislatore si è mosso in maniera non manifestamente irragionevole, perché nel rispetto delle condizioni di legittimità quali l’eccezionalità, temporaneità e proporzionalità di tale disciplina emergenziale. A tal riguardo vale peraltro ricordare che, mentre per tutti i lavoratori, a fronte del blocco dei licenziamenti, era stato introdotto uno specifico ammortizzatore sociale (Cig Covid-19), che sollevava le aziende dal costo del lavoro dei dipendenti durante la forzata chiusura delle attività produttive, per il personale dirigenziale tale ammortizzatore non era fruibile, rimanendo pertanto completamente a carico delle imprese il loro costo. La ratio dell’esclusione dei dirigenti dal blocco dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo risultava, pertanto, coerente in tale contesto emergenziale. E oggi se ne ha conferma da parte del giudice delle leggi.