Pubblicato su Modulo24 Contenzioso Lavoro de IlSole24Ore l’articolo a firma Angelo Zambelli e Giuseppe Faedda. 
Alla luce delle disposizioni transitorie della riforma Cartabia quale rito risulta applicabile all’appello proposto dopo il 28 febbraio 2023?
In una fattispecie caratterizzata dall’applicazione delle norme transitorie della Riforma Cartabia, si è pronunciata la Corte di cassazione con la sentenza 30 aprile 2025, n. 11344, confermando la decisione con cui la Corte d’Appello aveva dichiarato inammissibile, perché tardivo, l’appello proposto con le forme del rito ordinario nel termine di sei mesi, anziché con quelle speciali del reclamo da proporsi entro 30 giorni, previste dell’art. 1, comma 58, L. 92/2012 (c.d. rito Fornero).
La vicenda
Il caso riguardava l’impugnazione di un licenziamento davanti al Tribunale di Cosenza, nell’ottobre 2021, con le forme del rito Fornero di cui all’art. 1, comma 47 e ss., L. 92/2012.
All’esito della fase sommaria, il Tribunale aveva respinto il ricorso con ordinanza del 9 novembre 2022 e, a seguito di opposizione, il medesimo Tribunale, con sentenza del 6 giugno 2023, aveva respinto l’opposizione del lavoratore. Quest’ultimo, evidentemente ritenendo abrogato il rito Fornero, aveva quindi proposto appello avverso la sentenza di primo grado, con ricorso depositato il 1° dicembre 2023, anziché con reclamo da depositarsi entro 30 giorni, secondo quanto previsto dalle norme del rito speciale.
La Corte d’Appello di Catanzaro, in applicazione degli artt. 35 e 37 del D.Lgs. n. 149 del 2022 e successive modificazioni (noto come Riforma Cartabia) ha ritenuto che l’abrogazione del rito Fornero trovasse applicazione solo per i procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023 e che il procedimento in oggetto, in quanto instaurato in epoca anteriore, continuasse ad essere regolato dalle disposizioni processuali anteriormente vigenti e, quindi, dall’art. 1, commi 47 e ss. della legge 92 del 2012.
Di conseguenza, con sentenza n. 766/2024 del 26 giugno 2024, la Corte di merito ha dichiarato inammissibile, perché tardiva, l’impugnazione della sentenza di primo grado, in quanto proposta nel termine di sei mesi anziché in quello di trenta giorni previsto per il reclamo.
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione deducendo, quale unico motivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 35 e 37 del D.Lgs. n. 149 del 2022 e dell’art. 12 delle Preleggi.
In sostanza, il ricorrente ha censurato l’interpretazione data dai giudici dell’appello alle suddette norme, sostenendo che, una volta disposta l’abrogazione del rito cd. Fornero, non potesse sopravvivere il reclamo e che l’art. 35, comma 1, dichiarava le nuove disposizioni applicabili ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023 «salvo che non sia diversamente disposto». Il ricorrente aggiungeva che una deroga in tal senso era rinvenibile nel successivo quarto comma del medesimo art. 35, secondo cui le nuove diposizioni «si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023».
Il ricorrente ha altresì lamentato che la decisione della Corte territoriale non aveva tenuto conto delle modifiche alla disciplina transitoria dettata dal citato art. 35, introdotte dalla legge n. 197 del 2022 che aveva anticipato dal 30 giugno 2023 al 28 febbraio 2023 l’entrata in vigore della riforma.
La normativa di riferimento
Com’è noto, l’art. 1 della L. 92/2012, commi 47-68, aveva introdotto uno speciale procedimento per le impugnazioni dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 della L. 300/1970, con il preciso scopo di agevolare e rendere più rapida la conclusione delle controversie sui licenziamenti, in funzione, tra l’altro, di tutela delle imprese rispetto al danno economico e ai disagi organizzativi che potevano prodursi a causa della durata eccessivamente lunga del processo del lavoro ordinario, soprattutto in caso di reintegrazione del lavoratore sul posto di lavoro.
Il procedimento di primo grado prevedeva una fase iniziale a cognizione sommaria, all’esito della quale il Tribunale accoglieva o rigettava la domanda con ordinanza immediatamente esecutiva, e una seconda fase, eventuale, di opposizione all’ordinanza, da decidersi con sentenza.
Il comma 58 regolava il reclamo in Corte d’Appello avverso la sentenza di primo grado, da proporsi tramite ricorso depositato, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della sentenza.
Vuoi per le difficoltà operative che il rito Fornero ha fin da subito determinato, sia per gli avvocati, sia per i magistrati chiamati ad utilizzare il nuovo strumento processuale, vuoi per gli effetti concretamente conseguiti non del tutto rispondenti alle esigenze di semplificazione e rapidità volute dal legislatore, il rito Fornero ha subìto una prima delimitazione del suo ambito applicativo ad opera del D.Lgs. 23/2015 (disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti) che, all’art. 11, ha escluso l’applicazione del citato procedimento ai nuovi contratti di lavoro a tutele crescenti stipulati successivamente all’entrata in vigore del decreto (7 marzo 2015). A seguito del decreto 23/2015, dunque, il rito Fornero restava circoscritto ai licenziamenti di lavoratori assunti a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015.
Il rito Fornero è stato quindi definitivamente abrogato dal recente provvedimento di riforma del processo civile (D.Lgs. n. 149/2022), noto come riforma Cartabia, in particolare dall’art. 37.
La disciplina transitoria della riforma di cui all’art. 35, che ha suscitato ampio dibattito tra gli operatori del diritto e gli studiosi, prevede che le nuove disposizioni, salvo che sia diversamente stabilito, abbiano effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applichino ai procedimenti instaurati successivamente a tale data (comma 1). La norma aggiunge che ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni anteriormente vigenti, in tal modo stabilendo una sorta di sistema a «doppio binario».
Lo stesso art. 35, tuttavia, al comma 4 prevede che «le norme dei capi I e II del titolo III del libro secondo e quelle degli articoli 283, 434, 436-bis, 437 e 438 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023» [1].
Da un primo esame del combinato disposto dei due commi dell’art. 35, sopra descritti, sembrerebbe quindi che vi sia una discrasia tra le due norme, atteso che, ai sensi del primo comma, le «nuove disposizioni» si applicano ai «procedimenti instaurati» dopo il 28 febbraio 2023 (tali intendendosi le cause iniziate in primo grado dopo tale data), mentre, ai sensi del quarto comma, alcune norme sulle impugnazioni, espressamente individuate, si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio e, dunque, ai procedimenti in corso.
In realtà, benché la nozione di «procedimento instaurato» non sia definita nel codice di procedura civile, non vi è alcuna discrasia tra le due previsioni in esame posto che ognuna è espressione di principi giuridici differenti, com’è stato chiarito e confermato dalla Suprema Corte con la sentenza in commento.
La decisione della Cassazione
La Corte di cassazione rigetta il ricorso proposto dal lavoratore con una decisione che, per ciò che concerne la questione trattata, vale a dire la disciplina transitoria prevista dalla riforma Cartabia con riferimento all’abrogazione del rito Fornero, risulta di assoluta novità e priva di precedenti.
Preliminarmente, la Corte si pronuncia su un’eccezione preliminare di inammissibilità del motivo di ricorso formulata dalla controricorrente, secondo la quale la dedotta violazione di norme processuali sarebbe da ricondursi non all’art. 360, comma 1 n.3, c.p.c., bensì a una fattispecie di nullità della sentenza e del procedimento di cui al n. 4 della stessa disposizione.
La Suprema Corte respinge l’eccezione affermando che l’art. 360 n. 4 c.p.c. consente la denuncia di vizi di attività del giudice o delle parti che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, così che lo scrutinio a cui è chiamato il giudice di legittimità riguarda il modo in cui il processo si è svolto, ossia i fatti processuali che quel vizio possono aver provocato. Nel caso in esame, invece, il motivo di ricorso non denuncia un difetto di attività del giudice o delle parti, ossia un vizio del fatto processuale, ma unicamente l’errata interpretazione di una norma di diritto, sia pure di natura processuale, sicché, ritiene la Corte, la censura è correttamente proposta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. quale «error in iudicando de iure procedendi».
Passando ad analizzare nel merito il motivo di ricorso, la Cassazione compie dapprima un breve excursus sulle norme transitorie relative alle modifiche del codice di procedura civile di cui all’art. 35 già citato, sia con riferimento al primo comma, secondo cui la nuova normativa ha effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applica ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, che con riguardo al quarto comma, relativo all’immediata applicabilità, alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023, delle modifiche ivi espressamente richiamate [2].
Proprio con riferimento al quarto comma e al suo tenore letterale, il Supremo Collegio precisa che l’applicazione delle nuove disposizioni alle impugnazioni proposte dopo il 28 febbraio 2023 deve intendersi limitata a quelle espressamente previste dall’art. 35, comma 4 (vale a dire alle impugnazioni regolate dal rito ordinario civile e a quelle riguardanti la generalità delle cause di lavoro sottoposte al rito ordinario del lavoro), e non anche al reclamo di cui all’art. 1, comma 58, della legge 92 del 2012. Quest’ultimo istituto, infatti, costituisce una specifica forma di impugnazione nell’ambito del rito cd. Fornero, normativa cui l’art. 35, comma 4, non fa alcun riferimento.
In tale prospettiva, la Corte ritiene che i procedimenti sottoposti al rito Fornero, pendenti alla data del 28 febbraio 2023, debbano essere sottoposti alla disciplina transitoria dell’art. 35, comma 1, e, dunque, essere disciplinati, anche nella fase di impugnazione, dalle disposizioni anteriormente vigenti, vale a dire dall’art. 1, commi 47 e ss. della legge 92 del 2012, la cui abrogazione, appunto, ha effetto per i procedimenti instaurati (ex novo, verrebbe da aggiungere) successivamente al 28 febbraio 2023.
Una tale interpretazione delle citate norme transitorie, del resto, è coerente con l’introduzione della nuova disciplina sulle controversie relative ai licenziamenti (artt. 441 bis e ss. c.p.c., introdotta dall’art. 3, comma 32, del decreto 149/2022)[3] la quale, ai sensi dell’art. 35, primo comma, si applica ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023.
Con la decisione in commento, dunque, la Corte chiarisce la portata dell’art. 35 del decreto citato, fornendo la corretta interpretazione su quali norme processuali debbano applicarsi nel caso di impugnazione della sentenza di primo grado emessa secondo l’abrogato rito Fornero, in un procedimento avviato prima del 28 febbraio 2023.
I principi della perpetuatio iurisdictionis e del tempus regit actum
Per completare l’impianto motivazionale della decisione in commento, la Cassazione richiama due noti principi generali dell’ordinamento processuale, quello della perpetuatio iurisdictionis[4] e quello del tempus regit actum, e ne chiarisce i rispettivi ambiti di applicazione alla fattispecie sottoposta al suo scrutinio.
In particolare, la Corte precisa che l’art. 35, comma 1, del d.lgs. 149/2022, nel disporre che le nuove disposizioni si applicano ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023, è esplicazione del principio della perpetuatio iurisdictionis di cui all’art. 5 c.p.c., secondo il quale il processo civile è regolato, nella sua interezza, dal rito vigente al momento della proposizione della domanda[5].
Il diverso principio del tempus regit actum, invece, in forza del quale lo ius superveniens trova immediata applicazione in materia processuale, si riferisce ai singoli atti da compiere, isolatamente considerati, e non all’insieme delle regole sistematicamente organizzate in vista della statuizione giudiziale. Ragionando diversamente, infatti, ricorda la Corte, si violerebbe il principio di irretroattività della legge contenuto nell’art. 11 delle Preleggi, di cui lo stesso art. 5 c.p.c. è espressione.
Considerazioni conclusive
La disciplina transitoria della riforma Cartabia, pur essendo orientata a garantire la continuità e la certezza del diritto, presentava alcune criticità interpretative e applicative. La mancanza di definizioni precise e le lacune individuate dalla giurisprudenza richiedevano (e richiedono tuttora) un’attenzione particolare da parte degli operatori del diritto.
Era auspicabile un intervento giurisprudenziale che chiarisse le incertezze esistenti sul rito applicabile nei diversi gradi di un giudizio pendente alla data della riforma, al fine di assicurare una transizione più fluida e uniforme tra il vecchio e il nuovo regime processuale.
Un chiarimento in merito alla “sovrapposizione” tra il rito Fornero e il rito ordinario è stato fornito dalla Suprema Corte con la sentenza in commento.
La Corte, in applicazione di tutti i principi sopra descritti, ha ritenuto corretta la decisione d’appello che, sul presupposto della permanente applicabilità al procedimento in esame del rito della L. 92/2012, aveva rilevato l’inammissibilità dell’impugnazione avverso la sentenza di primo grado, in quanto proposta nelle forme e nei termini dell’appello, anziché attraverso il reclamo da depositare nel termine di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza, ai sensi dell’art. 1, comma 58, della L. 92/2012.
La sentenza in commento è da ritenersi condivisibile, sia per l’interpretazione letterale fornita dell’art. 35 del decreto 149/2022 sia per quella sistematica, concreta sintesi, quest’ultima, di noti e consolidati principi generali dell’ordinamento, quali quello della perpetuatio iurisdictionis, dell’irretroattività della legge nel tempo e del tempus regit actum.
Vale la pena aggiungere che, con particolare riferimento all’art. 35 D.Lgs 149/2022, la Corte conferma una sua precedente decisione (n. 32365/2024) nella quale si era premurata di specificare che il principio del tempus regit actum, in forza del quale lo ius superveniens trova applicazione immediata in materia processuale, non può che riferirsi ai singoli atti da compiere, isolatamente considerati, e non già all’intero nuovo rito. Infatti, posto che il «rito» è da intendersi come «l’insieme» delle regole sistematicamente organizzate in vista della statuizione giudiziale, l’applicazione di un nuovo rito ad un processo già iniziato, in assenza di norme transitorie che ciò autorizzino, si tradurrebbe in una non consentita applicazione retroattiva di quell’«insieme», invece vietata dal principio di irretroattività della legge[6].
Tali arresti giurisprudenziali, inoltre, appaiono rispettosi di altri valori costituzionalmente tutelati, quali il principio di ragionevolezza, la tutela dell’affidamento legittimo, la coerenza dell’ordinamento giuridico e il rispetto delle funzioni del potere giudiziario[7], in base ai quali non sarebbe giustificato regolare con riti diversi (speciale e ordinario) i due gradi di uno stesso giudizio di merito.
—–
Note :
[1] Si tratta, in particolare, delle modifiche alle norme sulle impugnazioni in generale, al rito ordinario dell’appello, nonché a quelle riguardanti la generalità delle cause d’appello sottoposte al rito (ordinario) del lavoro.
[2] V. nota n. 1
[3] Si ricordi che l’art. 441 bis c.p.c. ha ad oggetto proprio le impugnazioni di licenziamenti nelle quali è proposta domanda di reintegrazione nel posto di lavoro, con la previsione di particolari “aggiustamenti” procedurali atti ad assicurare esigenze di celerità e concentrazione del processo.
[4] Espressione del più ampio principio dell’ultrattività della legge, che implica che le norme precedenti rimangono applicabili ai procedimenti pendenti al momento dell’entrata in vigore della riforma, nell’ottica di garantire la certezza del diritto e di rispettare le aspettative delle parti coinvolte nei procedimenti già avviati.
[5] L’art. 5 c.p.c. recita infatti: «La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo».
[6] Conformi, sul punto, Cass. n. 20811/2010 e n. 14104/2024.
[7] Cass. 7 agosto 2024, n.22337.
L’articolo è disponibile, per gli abbonati, su Modulo24 Contenzioso Lavoro de IlSole24Ore qui: https://modulo24contenziosolavoro.ilsole24ore.com/public/default.aspx