Definita in modo più preciso la base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto degli agenti al fine anche di ridurre il contenzioso.
Pubblicato da Modulo24 Contenzioso Lavoro il nuovo articolo di Barbara Grasselli.
Il rinnovo dell’Accordo Economico Collettivo (AEC) per il settore Commercio, siglato il 4 giugno 2025 ed efficace dal 1° luglio 2025 al 30 giugno 2029, introduce alcune novità. Tra queste, spicca l’articolo 1 bis, che mira a definire in modo più preciso, tra l’altro, la base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto degli agenti.
L’articolo 1 bis stabilisce espressamente che «tutte le somme corrisposte dalla casa mandante, in aggiunta alle provvigioni, esclusivamente a titolo di rimborso o concorso spese forfettari, premi per il risultato, coordinamento degli agenti o incasso, ancorché contrattualizzati separatamente, oltre a quanto eventualmente pattuito nella contrattazione individuale, sono computabili come previsto nell’ambito dei singoli istituti contrattuali».
Questa disposizione è richiamata espressamente da diversi «singoli istituti contrattuali» che determinano il contenuto economico del rapporto di agenzia, tra cui le variazioni contrattuali (art. 3), il patto di non concorrenza (art. 8), l’indennità sostitutiva del preavviso (art. 11) e l’indennità di fine rapporto (art. 12) che include l’indennità di risoluzione del rapporto, la suppletiva di clientela e l’indennità meritocratica (art. 13).
La finalità principale di questa innovazione normativa è duplice: fornire maggiore chiarezza nel computo della base di calcolo dei vari istituti e, di conseguenza, ridurre il contenzioso. L’articolo specifica che le voci indicate sono quelle che devono essere computate, pur salvaguardando la possibilità che le parti abbiano previsto ulteriori titoli nel contratto individuale.
Come sottolineato da Confcommercio Milano, la direttiva del negoziato che ha portato alla stipula del recente AEC è stata quella di demandare il più possibile alla contrattazione individuale la disciplina del singolo contratto di agenzia, in virtù del principio dell’autonomia negoziale[1].
Le voci elencate nell’articolo 1 bis sembrano, quindi, rappresentare un minimo inderogabile, superabile solo da condizioni di miglior favore stabilite nel contratto individuale, fatte salve le previsioni dei singoli istituti contrattuali.
Ne consegue che le parti ben potrebbero escludere dalla base di calcolo delle indennità di fine rapporto compensi diversi e aggiuntivi rispetto a quelli esclusivamente previsti dall’articolo 1 bis. Si pensi, ad esempio, ai compensi speciali per la presenza a fiere commerciali, per la tenuta dell’inventario delle forniture, per la custodia di prodotti presso i locali dell’agente, per l’assistenza ai clienti sull’aggiornamento dei prodotti e per l’attività di merchandising.
La nuova base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di agenzia (art. 1 bis)
L’introduzione dell’articolo 1 bis comporta le seguenti modifiche per la base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto, previste dall’AEC:
– patto di non concorrenza (art. 8). Il precedente AEC del 2009 limitava la base di calcolo alla media annua delle sole provvigioni degli ultimi cinque anni. Con il nuovo accordo del 4 giugno 2025, tale base è stata ampliata, includendo le voci dell’articolo 1 bis.
– Indennità di mancato preavviso (art. 11). Nel silenzio della legge, il previgente AEC includeva nella base di calcolo «tutte le somme corrisposte in dipendenza del contratto di agenzia, anche a titolo di rimborso, o concorso spese o di premio». L’introduzione dell’articolo 1 bis e il suo richiamo nell’articolo 11 chiariscono ora che non tutte, ma solo le somme elencate nell’1 bis (oltre alle provvigioni) dovranno essere computate, a meno che il contratto individuale preveda ulteriori compensi.
– FIRR (art. 13) – Fondo Indennità Risoluzione Rapporto. Rispetto alla disciplina precedente che includeva nella base di calcolo del FIRR le somme corrisposte «espressamente e specificamente a titolo di rimborso, concorso spese o di premio», la nuova base di calcolo ora prevede, quantomeno, anche i compensi per attività di coordinamento e di incasso.
– Indennità suppletiva di clientela e l’indennità meritocratica – L’AEC del 2009 (art. 13, quarto comma) già prevedeva una base di calcolo più ampia delle sole provvigioni, includendo le «altre somme, comunque denominate», per le quali è sorto il diritto al pagamento. In questi casi, l’articolo 1 bis interviene a circoscrivere e chiarire le tipologie di compensi da includere, fornendo maggiore certezza interpretativa.
In sintesi, l’obiettivo principale della disposizione collettiva è quello di eliminare ogni possibile ambiguità interpretativa e di rafforzare la tutela dell’agente attraverso una formulazione più esplicita e sistematica delle voci che compongono la base imponibile delle indennità.
La giurisprudenza aveva già avuto modo di occuparsi della questione della computabilità delle somme aggiuntive alle provvigioni, in particolare con riferimento ai compensi per l’attività di coordinamento.
In altra pronuncia è stata riconosciuta la computabilità del compenso per attività di coordinamento sia nell’indennità ex art. 1751 cod. civ. sia in quella dell’AEC Commercio ratione temporis applicabile, sul presupposto che il contributo dell’attività di coordinamento al miglioramento e al mantenimento dell’avviamento commerciale emergeva in quel caso dagli stessi obblighi contrattuali di «affiancare l’attività degli agenti per quanto concerne la formazione, le modalità di sviluppo della clientela e la verifica da essi svolta» come pure da quello di «verificare e controllare le qualità delle proposte contrattuali raccolte dagli agenti» nonché di «aggiornare gli agenti sulle strategie commerciali, sui prodotti, sulle promozioni ed ogni altra iniziativa promossa» (Corte di appello Ancona, 29 maggio 2018, n. 63, in bdp.giustizia.it).
Diversamente, altre pronunce distinguono tra attività direttamente volte alla promozione della clientela (premiate dall’indennità) e quelle accessorie, come il coordinamento di altri agenti, considerate strumentali e non computabili nell’indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 cod. civ.[2].
In altri casi ancora, la giurisprudenza si è pronunciata sulla computabilità di altri emolumenti, quali ad esempio le provvigioni fisse mensili, nel calcolo dell’indennità ex art. 1751 cod. civ., talvolta affermando di doverli escludere, poiché non collegati al volume degli affari e quindi non sintomatici della meritevolezza dell’agente e altre volte ritenendo di computarli nella base di calcolo sul presupposto che l’art. 1751 cod. civ. fa riferimento al «più ampio concetto di retribuzioni riscosse»[3].
La persistente incompatibilità delle indennità di fine rapporto con la Direttiva comunitaria n. 86/653 del 18 dicembre 1986
Al di là di alcune ulteriori modifiche[4], il recente AEC non è intervenuto sulla struttura delle indennità di fine rapporto rispetto alla versione precedente che, conseguentemente, rimane ancora incompatibile rispetto alla Direttiva comunitaria, essendo basate su criteri non meritocratici e non in linea con quelli comunitari, come esplicitati dall’art. 17 della Relazione alla Direttiva citata del 23 luglio 1996.
Va, infatti, precisato che l’articolo 1751 cod. civ., nel disciplinare l’indennità di cessazione del rapporto, non detta un criterio di calcolo, ma si limita a fissare un tetto massimo per l’ammontare dell’indennità. Questo tetto «non può superare un importo equivalente a un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni ovvero nel minor periodo in cui il contratto ha avuto esecuzione».
Tale formulazione ha spesso generato ambiguità interpretative, in quanto si è attribuito a questa media un valore parametrico anche per il calcolo della misura dell’indennità quando, invece, essa rileva solo in un momento finale, come limite massimo dell’importo riconoscibile all’agente. A conferma di ciò, la relazione illustrativa all’articolo 17 della Direttiva 86/653/CEE chiarisce che il procedimento per determinare l’indennità si articola in tre fasi distinte:
- Accertare l’esistenza di un incremento degli affari, individuando i nuovi clienti procurati o i clienti già acquisiti con cui gli affari sono stati sensibilmente sviluppati.
- Calcolare il valore dell’apportodell’agente in termini economici, tenendo conto delle provvigioni di tali clienti (nuovi o sviluppati) e delle altre retribuzioni fisse «se queste possono essere considerate retribuzioni per nuovi clienti», percepite nei dodici mesi precedenti la cessazione del rapporto.
- Applicare il tetto massimo previsto dalla norma, calcolato come media annuale di tutti i compensi percepiti, comprese quindi le provvigioni non direttamente connesse all’incremento di clientela, ma comunque percepite nel quinquennio (o nel periodo più breve) di riferimento, incluse le provvigioni per i clienti diversi da quelli nuovi o da quelli sviluppati.
Ne deriva che l’inclusione di somme diverse dalle mere provvigioni (es. compensi per coordinamento, incasso, premi e rimborsi) può avvenire nel calcolo del valore dell’apporto, purché esse siano riconducibili all’attività di sviluppo della clientela, ma trovano sicuramente spazio nella determinazione del tetto massimo, che considera tutti i compensi percepiti in esecuzione del contratto.
Invero, l’articolo 1 bis non consente di distinguere tra compensi direttamente collegati all’incremento di clientela e altri compensi, ma include nella base di computo delle indennità di fine rapporto quelli citati, indipendentemente dalla loro funzione precipua. Inoltre, tutte le indennità dell’AEC sono riconosciute a prescindere dal miglioramento dell’avviamento (il FIRR e la suppletiva di clientela) o comunque, nel caso della meritocratica, sulla base di conteggi basati sul mero incremento di fatturato (o di provvigioni) e quindi non in linea con i criteri comunitari[5].
Sul punto, si ricorda che la Corte di Giustizia europea, con la sentenza del 23 marzo 2006 resa nella causa C-465/04, ha affermato due princìpi fondamentali:
- «l’indennità di cessazione del rapporto che risulta dall’applicazione dell’art. 17, n. 2, della direttiva non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati da quest’ultima disposizione a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all’agente commerciale un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione della detta disposizione».
- La natura favorevole o meno della deroga alle disposizioni dell’art. 17, consentita dall’art. 19 della Direttiva prima della scadenza del contratto, «dev’essere valutata al momento in cui le parti la prevedono. Queste ultime non possono convenire una deroga di cui esse ignorano se essa si rivelerà, alla cessazione del contratto, a favore ovvero a scapito dell’agente commerciale».
Alla luce di tali princìpi la Corte di Giustizia ha ritenuto incompatibili con le previsioni comunitarie gli accordi economici del 1992 sottoposti al vaglio della Corte di Giustizia, ma il principio è perfettamente applicabile anche agli AA.EE.CC. successivi, ivi incluso l’AEC del 2025 del settore commercio.
Ciononostante, la giurisprudenza italiana continua ad applicare una valutazione ex post circa la natura migliorativa della contrattazione collettiva[6] e a ritenere il trattamento previsto dagli AA.EE.CC. quale trattamento minimo garantito, soggetto ad aggiustamento laddove siano provati i requisiti dell’apporto di nuovi clienti o lo sviluppo di quelli esistenti, la permanenza dei vantaggi successivamente alla cessazione del rapporto ed il principio di equità, avendo in considerazione le circostanze del caso concreto ed in particolare le provvigioni che l’agente perde[7].
La determinazione dell’ammontare dell’indennità, dunque, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato è rimessa al giudizio equitativo del Giudice che lo esercita secondo i requisiti dell’art. 1751 cod. civ., nel limite massimo dell’indennità calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente[8], nel senso che l’indennità deve essere equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla ad equità[9].
Osservazioni conclusive
In definitiva, l’AEC Commercio 2025 rappresenta un passo avanti nella definizione e trasparenza delle voci computabili per le indennità di fine rapporto, offrendo maggiore certezza alle parti contrattuali e potenziale riduzione del contenzioso interno. Resta, però, aperta la questione della piena conformità con i principi comunitari, un nodo che il nuovo accordo non scioglie affatto.
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[1] Sul sito web di Confindustria Milano si legge, con riferimento all’art. 1 bis, che «è stato inserito l’art. 1-bis sulla definizione delle basi di calcolo prevedendo un allargamento circoscritto ad alcune voci legate a quanto corrisposto “esclusivamente a titolo di rimborso o concorso spese forfettari, premi per il risultato, coordinamento degli agenti o incasso, ancorché contrattualizzati separatamente, oltre a quanto eventualmente pattuito nella contrattazione individuale” e lasciando spazio alla computabilità o meno nel singolo istituto contrattuale. Oltre alla perimetrazione delle singole voci, la linea direttrice di tutto il negoziato è stata infatti quella di demandare il più possibile alla contrattazione individuale la disciplina del singolo contratto di agenzia in virtù del principio dell’autonomia»
https://www.confcommerciomilano.it/it/contratti_lavoro/contrattazione_collettiva/AEC-Accordo-4-giugno-2025.html.
[2] «Ai fini del riconoscimento dell’indennità ai sensi dell’art. 1751 c.c., è necessario che l’agente abbia procurato al preponente nuovi clienti ovvero abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i contraenti già acquisiti, restando conseguentemente esclusa dall’ambito di applicabilità di tale norma l’attività di reclutamento e coordinamento degli agenti, in quanto quest’ultima, pur rilevante sul piano organizzativo, si pone come strumentale ed accessoria rispetto a quella, direttamente volta alla promozione della clientela, che l’indennità di cessazione del rapporto è specificamente finalizzata a premiare» (Cass, 15 ottobre 2018, n. 25740).
[3] Cfr. Cass. 22 agosto 2024 n. 23043, Cass. 2 agosto 2023 n. 23547; Corte di appello Milano, 6 luglio 2018 n. 867; Corte di appello Milano, 9 aprile 2019 n. 88.
[4] Tra queste vi è il riconoscimento del FIRR agli agenti costituiti in forma societaria (art. 13) e la modifica degli scaglioni per il conteggio del FIRR (art. 13); il riconoscimento dell’indennità meritocratica anche in caso di pensionamento dell’agente o di decesso (art. 13, III) e una maggiore chiarezza delle tabelle di calcolo di tale indennità (artt. 13 e 14).
[5] In questo senso, cfr. Bortolotti, Contratti di distribuzione, Ed. Wolters Kluwer, 2022, pag. 461 e ss.
[6] Cass. 9 febbraio 2024 , n. 3713; conforme, Trib. Milano, 6 marzo 2019, n. 2254.
[7] Cass.14 gennaio, 2016, n.486; conforme, Corte di appello, Venezia, 5 ottobre 2023, n. 1966;
[8] Cass. 17 aprile 2019 n. 788: «poiché l’art. 1751 c.c. fissa espressamente solo il tetto massimo della stessa, la Corte di Cassazione ha puntualizzato che, alla luce della normativa e giurisprudenza dell’Unione Europea, il riferimento al criterio dell’equità serve non solo ad individuare quando sorge il diritto alla indennità, ma anche a quantificarla, essendo prevalente sulla contrattazione collettiva tutte le volte in cui la sua concreta applicazione porti ad un risultato più favorevole all’agente». Nello stesso senso, cfr. Corte di appello Milano, 8 novembre 2019, n. 1619; Corte di appello Milano, 9 aprile 2019 n. 88; Corte di appello Milano, 22 gennaio 2019, n. 58; Corte di appello Milano, 6 luglio 2018, n. 867; Trib. Busto Arsizio, 12 ottobre 2016, n. 318; Trib. Busto Arsizio, 31 maggio 2017, n. 255.
[9] Cfr., tra le molte, da ultimo Cass. 22 agosto 2024, n. 23043 ed i precedenti ivi richiamati.
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