Il datore di lavoro deve agire entro quindici giorni dalla comunicazione della decisione del dipendente.
Pubblicato oggi da Il Sole 24 Ore il nuovo articolo di Angelo Zambelli.
Dopo aver chiarito, con la sentenza 16630/2024, che il termine di quindici giorni per la revoca del licenziamento – decorrente dalla comunicazione al datore della relativa impugnazione – si perfeziona con il mero invio della revoca al lavoratore (non essendo richiesta anche la sua ricezione), la Corte di cassazione è ritornata sul tema con le sentenze gemelle 26954/2025 e 26957/2025, relative a lavoratrici in stato di gravidanza.
Nel primo caso, la Corte d’appello di Venezia ha ritenuto tempestiva la revoca del licenziamento intervenuta oltre il quindicesimo giorno dall’impugnazione, ricollegando il giorno di decorrenza del termine alla data in cui il datore di lavoro aveva avuto effettiva conoscenza dello stato di gravidanza della lavoratrice. Ciò è avvenuto tramite una comunicazione integrativa a quella dell’impugnazione, e successiva alla stessa, corredata da apposita certificazione medica. Secondo i giudici di merito, infatti, qualora il vizio di invalidità del recesso non sia conosciuto (né conoscibile) dal datore e non attenga alle ragioni poste a fondamento dell’atto espulsivo, il termine per l’esercizio del diritto di revoca previsto dall’articolo 18, comma 10, dello Statuto dei lavoratori, nonché dall’articolo 5 del Dlgs 23/2015, non decorre dalla generica impugnazione del licenziamento, bensì dal momento in cui il lavoratore «con l’atto di impugnazione…renda noto il profilo di invalidità».
La Suprema Corte, con la sentenza 26954, ha respinto tale interpretazione, richiamando anzitutto il dato testuale dell’articolo 6 della legge 604/1966 che, per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, non richiede formule particolari, essendo sufficiente «qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento medesimo». Ciò premesso, la Corte ha chiarito che la revoca del licenziamento costituisce esercizio di un diritto potestativo di natura eccezionale che consente al datore di lavoro di incidere unilateralmente sulla sfera giuridica del lavoratore, determinando la ricostituzione automatica del rapporto, purché l’atto sia adottato nel rispetto del termine perentorio di quindici giorni dall’impugnazione. Decorso tale termine, “si riespandono” i principi generali dell’ordinamento, secondo cui la revoca del licenziamento assume la forma di una proposta negoziale, priva di effetti immediati e subordinata all’accettazione del lavoratore, in base all’articolo 1326 del Codice civile
La Cassazione è giunta alle medesime conclusioni con la sentenza 26957/2025, relativa anch’essa a un’ipotesi in cui la revoca del licenziamento era intervenuta oltre il termine perentorio di quindi giorni dall’impugnazione. La Corte ha precisato che, una volta spirato tale termine, non è sufficiente, ai fini della ricostituzione del rapporto di lavoro, un comportamento concludente del lavoratore, ma è necessario un vero e proprio accordo, soggetto alle regole ordinarie di formazione del contratto e fondato, quindi, sull’incontro tra proposta e accettazione.
Premesso che l’interpretazione fornita della norma nelle due decisioni appare rispettosa del dettato normativo, nella seconda fattispecie un principio di conclusione dell’accordo per fatti concludenti si sarebbe potuto anche arguire: sennonché, in primo grado, il giudice ha verificato la mancata accettazione della proposta aziendale da parte della lavoratrice.