ALL’ESAME DELLA CONSULTA IL LIMITE DI 60 GIORNI PER IMPUGNARE IL RECESSO

Il nuovo articolo di Angelo Zambelli pubblicato oggi su Il Sole24Ore.

Rinvio delle Sezioni Unite dopo che una lavoratrice era stata colpita da una incapacità temporanea

È «rilevante» e «non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6 della legge 604/1966, come riformulato dall’articolo 32, comma 1, della legge 183/2010, che – nel prevedere che «il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta […]» – fa decorrere il termine di decadenza, anche nei casi di incolpevole incapacità naturale, processualmente accertata, del lavoratore licenziato, «dalla ricezione dell’atto anziché dalla data di cessazione dello stato di incapacità».

In questi termini si sono pronunciate, con ordinanza interlocutoria 23874/2024 di ieri, le Sezioni Unite della Cassazione, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. E ciò in relazione a una fattispecie in cui una lavoratrice, licenziata per protratta assenza ingiustificata, aveva impugnato il licenziamento intimatole oltre il termine di sessanta giorni di cui al citato articolo 6 sostenendo – e avendo provato in giudizio – di essersi trovata in condizioni di temporanea incapacità naturale che le avevano impedito di avere effettiva conoscenza del contenuto dell’atto e, conseguentemente, di poter impugnare il licenziamento ricevuto.

La Corte d’appello di Palermo, investita del reclamo avverso la sentenza del giudice di prime cure che aveva accertato la tardività dell’impugnazione del recesso, aveva anch’essa escluso che il maturare della decadenza potesse essere impedito in ragione dello stato di incapacità naturale della lavoratrice licenziata.

La Sezione Lavoro della Cassazione, dal canto suo, dopo aver richiamato il proprio consolidato orientamento sul tema – contrario all’assegnare rilievo alle condizioni soggettive del destinatario dell’atto ricettizio ai fini del superamento della presunzione di conoscenza – e aver dato atto di alcune più recenti pronunce di diverso avviso, aveva rimesso la questione alle Sezioni Unite.

Il fulcro della questione viene individuato nell’interpretazione che dell’articolo 1335 del Codice civile la giurisprudenza ha costantemente fornito in sostanziale adesione alla teoria cosiddetta della ricezione, secondo cui rileva non la conoscenza in senso proprio, ma la conoscibilità dell’atto, che si perfeziona con la consegna dell’atto al domicilio del destinatario, dalla quale viene desunta l’avvenuta conoscenza della dichiarazione altrui.

Viene altresì evidenziato che nell’interpretazione, ad altri fini, della predetta disposizione, le stesse Sezioni Unite hanno sempre dato rilievo all’esigenza di assicurare certezza alle situazioni giuridiche, esigenza che non è certo estranea al rapporto di lavoro subordinato, sì che il breve termine di decadenza per l’impugnazione del licenziamento «esprime l’esigenza di contemperare il diritto del prestatore all’eliminazione delle conseguenze dell’illegittimo recesso datoriale con l’interesse del datore di lavoro alla continuità e stabilità della gestione dell’impresa».

E il vaglio costituzionale richiesto ha come obiettivo proprio la verifica che «il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale».

È alla luce dei richiamati principi che le Sezioni Unite dubitano della legittimità costituzionale dell’articolo 6 della legge 604/1966, rimettendone la valutazione alla Consulta.

La versione intergrale dell’articolo è pubblicata su NT Lavoro: https://ntpluslavoro.ilsole24ore.com/art/all-esame-consulta-limite-60-giorni-impugnare-recesso-AF3hGKkD?cmpid=nl_ntLavoro: