Il chiarimento in un interpello del ministero del Lavoro: impraticabili percorsi alternativi.
Pubblicato su il Sole 24 Ore di oggi il nuovo articolo di Angelo Zambelli
Il datore di lavoro che intenda procedere alla chiusura di «più distinte unità» dovrà attivare la procedura cosiddetta antidelocalizzazioni introdotta dalla legge 234/2021 anche laddove in una sola di tali unità «si determini un esubero di almeno 50 unità di personale». Lo ha stabilito il ministero del Lavoro, con interpello 1/2025, in risposta a una richiesta di chiarimento presentata da Federdistribuzione e avente a oggetto l’ambito di applicazione del quadro procedurale introdotto alla fine del 2021.
In particolare, la richiesta riguardava l’ipotesi di un datore di lavoro che, avendo occupato più di 250 dipendenti nell’anno precedente, intendeva chiudere due diverse unità produttive, una con più di 50 dipendenti e l’altra con un numero di dipendenti inferiore a 50.
Il ministero del Lavoro ricorda anzitutto le finalità della nuova disciplina che, attraverso l’imposizione di una serie di onerosi adempimenti a tutela dei lavoratori interessati dai possibili licenziamenti, mira ad assicurare la «salvaguardia del tessuto occupazionale e produttivo». Ciò premesso – prosegue il Ministero – il dato letterale dell’articolo 1, comma 224, della legge 234/2021 è chiaro nel richiedere, ai fini dell’applicazione della disciplina antidelocalizzazioni, che si tratti di datori di lavoro i quali – in presenza del requisito dimensionale superiore a 250 dipendenti – intendano «procedere alla chiusura di una sede, di uno stabilimento, di una filiale, o di un ufficio o reparto autonomo situato nel territorio nazionale, con cessazione definitiva della relativa attività e con licenziamento di un numero di lavoratori non inferiore a 50».
Secondo il Ministero, dunque, la sussistenza di tali requisiti, essendo condizione necessaria e sufficiente per l’obbligatoria applicazione della disciplina della legge 234/2021, rende «irrilevante lo scrutinio di eventuali alternative ulteriori» laddove si intenda procedere «ad altre chiusure […] dalle quali consegue il licenziamento di un numero di dipendenti inferiore a 50». E ciò tanto più se si considerano i princìpi generali in materia di licenziamenti per ragioni economiche, rinvenibili nella legge 223/1991 e volti ad assicurare parità di trattamento ai lavoratori dipendenti da un medesimo datore.
Pertanto, alla luce di tali considerazioni, nel caso in cui un datore di lavoro decida di procedere alla chiusura di più distinte unità produttive, lo stesso sarà comunque tenuto ad attivare la procedura antidelocalizzazioni anche ove solo in una delle unità interessate – e non in entrambe – si prospetti un numero di licenziamenti non inferiore a 50, «dovendosi ritenere in tali casi impraticabili…percorsi alternativi per pervenire alla risoluzione dei rapporti di lavoro». Una siffatta interpretazione – conclude il Ministero – è coerente non soltanto con il principio di ragionevolezza, ma anche con quello delle pari opportunità di accesso a misure di salvaguardia occupazionale, «risultando così costituzionalmente orientata».
Seppur corretta l’interpretazione data, resta forte la perplessità per una disciplina che – perduto l’obiettivo delle delocalizzazioni “take and go” – risulta estremamente afflittiva rispetto agli standard europei e “poco orientata” alla libertà d’impresa, pur sempre prevista e garantita dalla nostra Costituzione.
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