Nuova stretta contro le delocalizzazioni. Il decreto legge Aiuti-ter rende più stringenti i vincoli procedurali introdotti dalla legge di Bilancio 2022 per le cessazioni delle attività produttive di grandi aziende. Il Governo ha apportato notevoli aggravi alla normativa anti-delocalizzazioni, già di per sé molto discussa, prevedendo un inasprimento delle sanzioni e un considerevole allungamento dei tempi della procedura.
La disciplina di contrasto alle “delocalizzazioni” è stata introdotta dalla legge 234/2021 e si applica alle grandi imprese, non in crisi, con almeno 250 dipendenti, che intendano cessare un’attività che comporti il licenziamento di più di 50 persone. Il datore di lavoro è tenuto a comunicare l’intenzione di chiudere non solo alle rappresentanze sindacali, bensì anche a Regioni, ministero del Lavoro, ministero dello Sviluppo economico e Anpal.
Entro 60 giorni, l’azienda deve elaborare un piano contenente una serie di azioni per fronteggiare le conseguenze sociali derivanti dalla chiusura. Una volta presentato il piano, è prevista una fase di discussione con i sindacati e le istituzioni.
A questo riguardo, l’articolo 37 del decreto legge 144/2022 ha esteso la fase di consultazione, portando da 30 a 120 i giorni per raggiungere un possibile accordo: effettivamente non si capiva un così lungo termine per elaborare il piano aziendale per poi avere solo 30 giorni per discuterlo. Anziché invertire i termini di 60 e 30 giorni, il secondo è stato quadruplicato.
Sino alla eventuale sottoscrizione del piano, il datore di lavoro non potrà procedere con licenziamenti collettivi, né intimare licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Ove l’accordo non venga raggiunto nei termini previsti, potrà essere avviata la procedura di licenziamento collettivo. Sennonché la legge di Bilancio l’aveva ridotta a 30 giorni, ma il decreto Aiuti-ter ha reintrodotto l’esame congiunto con i sindacati, ripristinando la durata massima di 45+30 giorni prevista dalla legge 223/1991.
Si allungano così a dismisura i tempi della procedura collettiva che può arrivare sino a 255 giorni (60+120+45+30, quasi 8 mesi e mezzo) durante i quali il datore di lavoro è comunque tenuto a corrispondere le retribuzioni, oltre ai relativi oneri contributivi. I licenziamenti, infatti, sono preclusi in quanto nulli se intimati senza l’avvio della procedura preventiva, nonché – altra novità – in ogni caso prima dello scadere dei 180 giorni (precedentemente erano 90) o del minor termine entro il quale viene sottoscritto il piano.
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