La bocciatura definitiva delle “tutele crescenti” ad opera della Corte Costituzionale

La bocciatura definitiva delle tutele crescenti ad opera della Corte Costituzionale

Un breve quanto agevole excursus della sofferta coesistenza tra Jobs Act e Corte Costituzionale pubblicato questa settimana su Guida al Lavoro de Il Sole 24 Ore: la riforma della disciplina dei licenziamenti introdotta dal D.Lgs. 23/2015 è stata definitivamente “demolita” dall’intervento della Consulta che in due occasioni ravvicinate (sent. 194/2018 e, appunto, sent. 150/2020) ha di fatto cancellato il meccanismo sanzionatorio basato esclusivamente sull’anzianità di servizio che determinava preventivamente l’indennità per il licenziamento illegittimo, togliendo qualsiasi discrezionalità al giudice nel determinarne l’importo.
La “mozione di sfiducia” nei confronti della magistratura del lavoro ha poi avuto un effetto boomerang con il Decreto Dignità: la sanzione in caso di licenziamento non assistito da giusta causa o giustificato motivo, infatti, è finita per oscillare – a discrezione del giudice – da un minimo di sei ad un massimo di 36 mensilità. Ben di più delle 12 – 24 mensilità dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori che si voleva riformare.

La bocciatura definitiva delle tutele crescenti ad opera della Corte Costituzionale