L’insussistenza del fatto non deve essere manifesta

L'insussistenza del fatto non deve essere manifesta

Ennesimo smacco per la “legge Fornero”. Questa volta la censura da parte del giudice delle leggi ha riguardato l’art. 18, comma 7, secondo periodo, ritenendo incostituzionale l’inciso “manifesta”, rispetto all’elemento dell’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Va detto subito che l’intervento rende giustizia delle perplessità che da sempre avevano accompagnato questa tecnica legislativa che in un aggettivo rendeva plastico il compromesso politico che ne aveva determinato la genesi.
Va registrato, tuttavia, l’ennesimo intervento demolitore da parte della giurisprudenza sia costituzionale sia di legittimità relativamente (ai tentativi di) alle riforme della disciplina dei licenziamenti introdotte dal legislatore negli ultimi dieci anni: Fornero e Jobs Act sono stati “stravolti” rispetto ai testi originali.
La pronuncia di ieri certamente semplifica e sembra voler porre fine ai numerosi dubbi interpretativi circa l’effettiva portata di questa locuzione, foriera di fondati dubbi di tenuta sistematica: non a caso la Corte segnala come tale locuzione (“manifesta”) fosse entrata in tensione con un ordinamento che sul “fatto” basa la protezione del lavoratore. Espunto dall’ordinamento il carattere manifesto dell’insussistenza del fatto, sorge spontaneo domandarsi quali siano le ipotesi in cui sarebbe applicabile la tutela indennitaria, posto che in tutte le ipotesi in cui non venga dimostrato il motivo oggettivo il lavoratore licenziato avrà ormai diritto a essere reintegrato. La Consulta accenna all’ipotesi di violazione delle clausole di correttezza e buona fede nella scelta del lavoratore, criteri di scelta importati dal licenziamento collettivo nel licenziamento individuale per esclusiva opera giurisprudenziale: come dire, ove non poté il legislatore poté il giudice.

L'insussistenza del fatto non deve essere manifesta