PER IL LICENZIAMENTO TARDIVO REINTEGRAZIONE O SOLA INDENNITÀ.

La tutela maggiore scatta solo se il ritardo è tale da creare affidamento nell’accoglimento delle giustificazioni del dipendente.

Pubblicato da Il Sole 24 Ore il nuovo articolo di Angelo Zambelli.

Il licenziamento comunicato dopo la scadenza del termine per l’adozione del provvedimento, previsto dalla contrattazione collettiva, integra una violazione dell’articolo 7 della legge 300/1970, tale da rendere applicabile la tutela prevista dall’articolo 18, comma 6 dello Statuto (indennità risarcitoria tra 6 e 12 mensilità), purché il ritardo non risulti notevole e ingiustificato, tale da creare affidamento nel lavoratore sull’accoglimento delle giustificazioni.

Lo ribadisce la Corte di cassazione con la sentenza 28366/2025, riguardante un lavoratore licenziato con provvedimento comunicato dopo la scadenza del termine di trenta giorni, decorrente dalla ricezione delle giustificazioni, previsto dal Ccnl applicabile (industria carta e cartone).

La Corte d’appello, nel riformare parzialmente la sentenza di primo grado, che aveva applicato la tutela prevista dal comma 4 dell’articolo 18 (reintegrazione e risarcimento massimo di 12 mensilità), ha ritenuto che fosse applicabile il comma 6 in quanto, entro il termine per l’adozione del provvedimento, il datore di lavoro ha comunicato di volersi avvalere della proroga prevista dall’articolo 51 del Ccnl per la complessità dell’istruttoria (proroga poi ritenuta illegittima). La Corte di merito ha escluso che la comunicazione di proroga inviata nei termini abbia potuto ingenerare affidamento nel lavoratore sulla irrilevanza disciplinare della condotta o sull’accoglimento delle giustificazioni.

La Corte di cassazione respinge il ricorso del lavoratore, confermando il principio secondo cui la violazione del termine per l’adozione del provvedimento disciplinare integra un mero vizio della procedura prevista dall’articolo 7 dello Statuto, con conseguente operatività della tutela prevista dall’articolo 18, comma 6, purché il ritardo non risulti tale da ledere, anche in senso sostanziale, il principio di tempestività, per avere creato affidamenti nel dipendente circa l’accoglimento delle giustificazioni oppure per la contrarietà del ritardo agli obblighi di correttezza e buona fede (si veda, Sezioni unite 30985/2017).

A questo proposito la Corte richiama il principio altre volte espresso secondo cui la violazione del termine per l’irrogazione della sanzione, comportando un silenzio che vale come accettazione delle difese del lavoratore, si risolve in un comportamento contrario alla clausola di buona fede che presidia il rapporto di lavoro, con conseguente illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto contestato (e non solo inefficacia per violazione di regole formali) e applicazione della tutela stabilita dall’articolo 18, comma 4 (Cassazione 21569/2018; 5485/2024).

Con la sentenza 28366/2025, tuttavia, la Corte esclude l’applicabilità al caso concreto del principio appena ricordato in quanto la comunicazione di proroga inoltrata entro il termine del Ccnl ha avuto il duplice effetto di impedire l’inerzia del datore di lavoro, da intendersi come accettazione delle difese, e di evitare qualsivoglia affidamento nel lavoratore circa l’accoglimento delle giustificazioni.

Concludendo, la Cassazione ribadisce che l’intimazione del licenziamento disciplinare deve essere connotata dal carattere di tempestività, distinguendo tra violazione delle regole che scandiscono il procedimento nelle sue varie fasi (nel qual caso troverà applicazione la tutela dell’articolo 18, comma 6) e violazione del principio generale di carattere sostanziale della tempestività quando assume il carattere di ritardo notevole e non giustificato, in ragione dell’affidamento in tal modo creato nel lavoratore sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto e della contrarietà del ritardo datoriale agli obblighi di correttezza e buona fede (con conseguente reintegrazione secondo l’articolo 18, comma 4).