Il Jobs Act “riformato” dai giudici costituzionali

L‘Avv. Angelo Zambelli, intervistato da Luigi Dell’Olio per Affari & Finanza, torna a parlare della recente sentenza del 26 febbraio 2024 in cui la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma del d.lgs. 23/15 nella parte in cui limitava la tutela reintegratoria ai soli casi di nullità “espressamente” previsti dalla legge. L’articolo è in edicola questa settimana su Affari & Finanza de La Repubblica nella sezione Rapporti Imprese e Lavoro.

Il Jobs Act “riformato” dai giudici costituzionali

“La giurisprudenza espressa ai massimi livelli ha smontato l’impianto riformatore del Jobs Act. A nove anni dalla sua approvazione, il provvedimento risulta ormai stravolto quanto alla disciplina dei licenziamenti”. È la chiave di lettura di Angelo Zambelli, name partner dello studio legale Zambelli & Partners. Con l’ultima sentenza del 26 febbraio, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma del d.lgs. 23/15 nella parte in cui limitava la tutela reintegratoria ai soli casi di nullità “espressamente” previsti dalla legge, specificando che non esiste una distinzione tra nullità espresse e non. “La limitazione prevista dalla norma creava un’evidente aporia, ingenerando dubbi su cosa si intendesse con quell’avverbio. Per fare un esempio: è vietato licenziare una lavoratrice incinta, ma se viene licenziata lo stesso, cosa accade?”, sottolinea il giuslavorista. Il quale ricorda come il licenziamento nullo fosse meglio disciplinato nella Legge Fornero del 2012, che era intervenuta sull’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, enumerando le fattispecie di nullità tutelata con la reintegrazione: discriminatorio; intimato in concomitanza con il matrimonio o con la maternità (o paternità); per motivo illecito determinante. “Con il Jobs Act, invece, il legislatore ha voluto distinguere le ipotesi di licenziamento discriminatorio da quello nullo, prevedendo la reintegrazione in quest’ultima fattispecie solo per le nullità ‘espressamente’ previste dalla legge”.

Quest’ultima decisione si inserisce in un quadro di pronunce che, a partire dal 2018, tra Cassazione e Corte Costituzionale, hanno sostanzialmente smontato gran parte della disciplina del 2015 relativa ai licenziamenti. “Il tentativo del legislatore di incasellare in un algoritmo il costo di un licenziamento è naufragato”, sottolinea l’esperto. Il quale condivide l’opera di armonizzazione effettuato dalla Corte costituzionale e l’aver fatto chiarezza sui punti non chiari della legge, dato che il tempo ormai trascorso dall’emanazione del Jobs Act fa sì che gran parte dei lavoratori sia soggetto a questa disciplina.


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