L’intervista di Angelo Zambelli, pubblicata oggi sul Corriere Economia, analizza le recenti sentenze della Corte Costituzionale, che ampliano il diritto di reintegrazione dei lavoratori licenziati
Le sentenze della Corte costituzionale di luglio 2024 hanno inferto un duro colpo al Jobs Act, riportando la reintegrazione dei lavoratori licenziati al centro delle tutele. Con le pronunce n. 128 e n. 129, infatti, la Consulta ha finito di demolire i principi della riforma del 2015, che puntava a ridimensionare (se non a eliminare) il ricorso alla reintegrazione.
“La prima sentenza – spiega l’avvocato Angelo Zambelli, Founding e Managing Partner di Zambelli & Partners – “ha esteso la tutela reintegratoria anche ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, qualora venga dimostrata l’insussistenza del fatto posto alla base del recesso.
La seconda, invece, prevede il diritto del lavoratore a essere reintegrato nei casi in cui il fatto all’origine del licenziamento, pur disciplinarmente rilevante, sia punito dalla contrattazione collettiva con una sanzione meramente conservativa.
In questo contesto, appare evidente l’inversione di rotta rispetto alle scelte politiche operate nel 2015”. Le nuove sentenze, del resto, si aggiungono a una nutrita serie di interventi della Corte costituzionale, ben sette in totale dal 2018, tutti in netto contrasto con la logica del Jobs Act.
“Il legislatore del 2015 – continua Zambelli – mirava a limitare la reintegrazione a ipotesi residuali, ma la Consulta ha progressivamente ribaltato questa impostazione finendo per rimuoverla”. Le nuove decisioni, infatti, ampliano non poco il diritto alla reintegrazione: “Oggi – osserva Zambelli – i lavoratori licenziati possono essere reintegrati sia in casi di nullità o discriminazione, ma anche quando il fatto contestato risulti infondato oppure la ragione economica inesistente, o ancora nel caso di licenziamenti disciplinari, laddove il contratto collettivo preveda solo sanzioni conservative”.
A complicare ulteriormente il quadro, il Dlgs “Salva infrazioni” del 2024 ha introdotto ulteriori modifiche al Jobs Act, aprendo la strada a richieste di risarcimento più elevate nei contratti a termine dichiarati illegittimi. “Con questa nuova norma – avverte Zambelli – i lavoratori possono ottenere risarcimenti superiori al limite delle 12 mensilità, se riescono a dimostrare un danno maggiore”. La modifica, inoltre, secondo l’avvocato, rischia di far tornare uno scenario pre-Jobs Act: “La preoccupazione – conclude Zambelli – è che si possa tornare alla situazione antecedente, in cui la durata delle controversie e l’inefficienza del sistema giustizia si risolvevano a danno delle imprese”.