CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E RAPPORTI DI LAVORO. DOPO LA CESSAZIONE IL LAVORATORE NON DOVRÀ RESTITUIRE I CONTRIBUTI

Un nuovo articolo di Angelo Zambelli, pubblicato nel Focus del Sole 24 Ore sul Codice della crisi d’impresa

Non possono dirsi stravolte dallo schema di decreto legislativo correttivo del Codice della crisi d’impresa (Cci) – approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 10 giugno – le norme sugli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro subordinato. Gli articoli 189, 190 e 191 del Cci, pur modificati dall’articolo 32, commi 2, 3 e 4 del correttivo, sono confermati nella sostanza: l’intervento si limita a depurarli da taluni difetti di coordinamento normativo e da imprecisi riferimenti terminologici, per maggior chiarezza interpretativa e applicativa.

Licenziamento

Dall’articolo 189, comma 1, il correttivo elimina il primo periodo («l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento»). La ratio sta probabilmente in una ridondanza rispetto alla più recente formulazione dell’articolo 2119, comma 2 del Codice civile, tanto più se si considera che: O tutte le fattispecie di licenziamento previste dall’articolo 189 sono assistite da preavviso (non si può configurare in esse alcuna ipotesi di giusta causa); O l’apertura della liquidazione giudiziale – come previsto sin dal 1942 dalla giurisprudenza sull’articolo 72 della Legge fallimentare – determina di per sé solo la sospensione dei rapporti di lavoro.

Curatore

Al comma 2 dell’articolo 189 – sul dies a quo dell’efficacia tanto del recesso del curatore dai rapporti di lavoro subordinato sospesi quanto del suo subentro negli stessi – viene eliminato l’onere in capo al curatore (poco comprensibile in verità nella disciplina oggi vigente) di comunicare all’Ispettorato territoriale del lavoro l’elenco dei dipendenti dell’impresa in forza al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale. Un adempimento da cui, in ogni caso, la lettera della norma oggi non fa discendere alcuna conseguenza pratica. Quasi interamente riscritto – seppur da un punto di vista solo terminologico-lessicale – è, poi, il successivo comma 3 che, al primo periodo, disciplina il recesso del curatore dai rapporti di lavoro subordinato sospesi e, al secondo, prevede la risoluzione di diritto dei vincoli contrattuali a fronte dell’inerzia del curatore protrattasi per oltre quattro mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale.

Previdenza e assistenza

Nuovo è, invece, l’ultimo periodo del comma 3, teso a regolare la sorte delle somme eventualmente ricevute dal lavoratore, a titolo previdenziale o assistenziale, nel periodo di sospensione: in particolare, vi si prevede che, se alla sospensione dei rapporti di lavoro sia poi seguita la cessazione (che mantiene un’efficacia retroattiva alla data dell’apertura della liquidazione giudiziale e che – si badi – non deve più essere comunicata «senza indugio» dal curatore), non è dovuta la restituzione, da parte del lavoratore, delle somme eventualmente ricevute durante tale periodo; non si può, d’altronde, imputare al lavoratore né la sospensione né, tantomeno, la mancata prosecuzione del rapporto. Il correttivo interviene anche sull’articolo 189, comma 4, relativo alla possibilità (in verità remota) di prorogare, in presenza di elementi concreti per l’autorizzazione all’esercizio dell’impresa o al trasferimento dell’azienda o di un suo ramo, il termine di quattro mesi di cui al precedente comma 3. Viene ristretto il novero dei soggetti legittimati a richiedere tale proroga al giudice delegato, escludendo (coerentemente con la modifica di cui sopra al comma 2) il direttore dell’Ispettorato territoriale del lavoro che, peraltro, potrebbe non avere (come di norma non ha) alcuna contezza delle condizioni che potrebbero consentire l’esercizio provvisorio dell’attività o la cessione dell’azienda o di un suo ramo. Rimangono legittimati a tale richiesta di proroga i lavoratori (facoltà che poco si comprende dopo quattro mesi di sospensione del proprio rapporto).

Esclusa la procedura «anti-delocalizzazione»

La normativa “anti-delocalizzazioni” non si applica ai licenziamenti collettivi decisi dal curatore. Lo prevede, molto opportunamente, l’articolo 189, comma 7 del Cci, come modificato dallo schema di decreto legislativo correttivo approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 10 giugno 2024. La nuova disposizione esclude espressamente le procedure di cui all’articolo 1, commi da 224 a 238, della legge 234/2021 ( “antidelocalizzazioni”) per il caso in cui il curatore decida di procedere a un licenziamento collettivo. In altri termini, viene meno anche solo il dubbio che il curatore debba esperire la gravosa procedura di informazione e consultazione sindacale preventiva – rispetto a quella prevista dalla legge 223/1991 – introdotta dalla legge 234/2021 per le ipotesi di cessazione di attività determinata dalla chiusura di sedi, uffici o comunque unità produttive in aziende con almeno 250 dipendenti nell’anno precedente che determinino il licenziamento di un numero di lavoratori non inferiore a 50. Ciò è in linea con la deroga alle disposizioni in esame già prevista dalla legge “anti-delocalizzazioni” (articolo 1, comma 226) per le imprese in situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne renda probabile la crisi o l’insolvenza e che possono accedere alla procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa di cui al Dl 118/2021. Peraltro, l’antinomia che si era creata nel silenzio del Codice della crisi strideva con i tempi estremamente ristretti (10 giorni) previsti al comma 6 rispetto alla procedura ordinaria di 75 giorni prevista dalla legge 223/1991. Di qui, dunque, l’opportunità della scelta operata nel correttivo di esonerare espressamente dagli adempimenti in questione, nonché dalle pesanti conseguenze sanzionatorie ad essi connesse, anche le imprese insolventi nei cui confronti sia stata aperta la liquidazione giudiziale. Il correttivo, facendo definitivamente chiarezza sul punto, riduce, da un lato, gli oneri a carico dei curatori e, dall’altro, i tempi necessari per la gestione degli esuberi in tali aziende ove la crisi è più che conclamata, rappresentando un ulteriore passo verso un quadro giuridico più snello e funzionale.