Angelo Zambelli su Il Sole 24 Ore: La Consulta torna sul licenziamento illegittimo

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Sul Jobs Act e l’indennità risarcitoria per i licenziamenti illegittimi è intervenuta nuovamente la Corte costituzionale, seppur senza demolire ulteriormente (per il momento) il D. Lgs. 23/2015 (sentenza n. 183 depositata il 22 giugno 2022).

Nel dichiarare l’inammissibilità della questione per le numerose opzioni utilizzabili dalla «prioritaria valutazione del legislatore», la Corte non manca di segnalare: «che un’ulteriore protrarsi dell’inerzia legislativa non sarebbe tollerabile», inducendola alla prossima occasione «a provvedere direttamente»: visti i chiari di luna a livello di esecutivo e le prossime elezioni politiche non è difficile aspettarsi un nuovo intervento legislativo della Consulta che potrebbe risultare dirompente visto il tessuto imprenditoriale che caratterizza la nostra economia.

 

Leggi l’articolo, firmato dall’avvocato Angelo Zambelli, su Il Sole 24 Ore del 22 luglio 2022

Licenziamenti illegittimi, l’indennità non va correlata solo alle dimensioni

Nell’economia attuale aziende piccole possono avere alti volumi d’affari

Risulta inadeguata l’indennità risarcitoria compresa tra tre e sei mensilità di retribuzione prevista per i licenziamenti illegitti nelle imprese più piccole e non è più attuale correlare le indennità alla sola dimensione dell’azienda.

Sul Jobs act è intervenuta nuovamente la Corte costituzionale (sentenza 183/2022 depositata il 22 agosto), seppur senza demolire ulteriormente (per il momento) il Dlgs 23/2015. Questa volta il Tribunale del Lavoro di Roma ha sollevato questioni di legittimità costituzionale con riferimento all’articolo 9, comma 1, della decreto legislativo, che disciplina l’indennizzo spettante nel caso di licenziamento illegittimo intimato da datori di lavoro che hanno fino a 15 dipendenti in un’unità produttiva (5 se agricoli) o fino a 60 complessivamente.

Il sindacato di legittimità incostituzionale ha riguardato, nello specifico, l’adeguatezza dell’indennità spettante per i dipendenti di piccole imprese illegittimamente licenziati, per i quali l’ammontare dell’indennizzo è dimezzato rispetto a quanto stabilito per le aziende più grandi e comunque individuato «nello strettissimo intervallo fra tre e sei mensilità».

Il giudice rimettente ha sostenuto che la disposizione impugnata, «nella parte in cui determina un limite massimo del tutto inadeguato e per nulla dissuasivo», non garantirebbe «un’equilibrata compensazione» e «un adeguato ristoro» del pregiudizio, non assolvendo così alla necessaria funzione di deterrente, e sarebbe in contrasto con gli articoli 3 primo comma, 4, 35 primo comma, e 117 primo comma della Costituzione.

Nel merito la questione è stata decisa con una sentenza di rigetto, dichiarando inammissibili le censure mosse: il giudice rimettente non si sarebbe limitato a richiedere la disapplicazione di un meccanismo per il computo dell’indennità risarcitoria, avendo piuttosto demandato alla Corte di ridefinire la soglia massima di tale indennizzo, senza individuare soluzioni predefinite che potessero circoscrivere l’intervento richiesto con criteri univoci e già presenti nel sistema normativo.

Non meno rilevanti, tuttavia, sono le esortazioni che la Consulta ha rivolto al legislatore, condividendo apertamente i motivi di impugnazione invocati dal giudice rimettente, nei quali riecheggiano i principi enunciati nelle sentenze 194/2018 e 150/2020 che hanno ritenuto incostituzionale il meccanismo introdotto dalla disciplina del Jobs act sulle tutele crescenti in base al quale il computo dell’indennità risarcitoria è parametrato esclusivamente sull’anzianità di servizio e comunque indipendentemente dalla gravità delle violazioni ovvero dall’entità del danno patito.

La Corte costituzionale, infatti, ha ribadito come la modulazione delle tutele contro i licenziamenti illegittimi sia demandata all’apprezzamento discrezionale del legislatore, comunque vincolato al principio di uguaglianza, che vieta di omologare situazioni eterogenee e di trascurare la specificità del caso concreto. Oltre a ciò, viene osservato come un sistema organico di tutele debba essere incentrato sul principio della ragionevolezza, che presuppone una necessaria adeguatezza dissuasoria dei rimedi anche per i licenziamenti intimati da datori di lavoro di più piccole dimensioni.

I giudici della Consulta hanno quindi rilevato che «un’indennità costretta entro l’esiguo divario tra un minimo di tre e un massimo di sei mensilità vanifica l’esigenza di adeguarne l’importo alla specificità di ogni singola vicenda, nella prospettiva di un congruo ristoro e di un’efficace deterrenza».

In ordine al requisito dimensionale è stato inoltre affermato che «in un quadro dominato dall’incessante evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi, al contenuto numero di occupati possono fare riscontro cospicui investimenti in capitali e un consistente volume di affari». Come dire: nel mutato assetto dell’economia, rispetto a quello degli anni ’60/’70, non è detto che a una dimensione piccola corrispondano piccoli profitti o piccoli fatturati.

Viene pertanto censurata l’attuale distinzione del regime delle tutele incentrata esclusivamente sulla dimensione occupazionale del datore di lavoro, osservando come «il criterio incentrato sul solo numero degli occupati» non sembrerebbe più rispondere «all’esigenza di non gravare di costi sproporzionati realtà produttive e organizzative che siano effettivamente inidonee a sostenerli».

Nel dichiarare l’inammissibilità della questione per le numerose opzioni utilizzabili dalla «prioritaria valutazione del legislatore», la Corte non manca di segnalare «che un’ulteriore protrarsi dell’inerzia legislativa non sarebbe tollerabile», inducendola alla prossima occasione «a provvedere direttamente».

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