Un nuovo articolo a firma dell’Avv. Angelo Zambelli è stato pubblicato su Il Sole 24 Ore nella sezione Norme & Tributi e su Ntpluslavoro.ilsole24ore.com.
Licenziamenti, la reintegra vale in tutti i casi di nullità
Dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale la norma del Dlgs 23/2015 che la limitava ai soli casi «espressamente» previsti dalla legge
Oltre il formalismo letterale, la sostanza: la Corte costituzionale (con la sentenza 22/2024 di ieri) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, primo comma, del Dlgs 23/2015 (uno dei decreti attuativi del Jobs Act), applicabile ai lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti dopo il 7 marzo 2015, nella parte in cui limita la tutela reintegratoria ai soli casi di nullità «espressamente» previsti dalla legge. A dire il vero, una tale limitazione (che creava un’evidente aporia nel complesso della disciplina) aveva ingenerato più di un dubbio interpretativo sin dall’emanazione.
Peraltro, proprio il licenziamento nullo si rinviene in termini maggiormente puntuali nella Legge Fornero (emanata soli tre anni prima) che aveva riformato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: discriminatorio (ad esempio, intimato per motivi di razza o di credo politico o religioso); intimato in concomitanza con il matrimonio o con la maternità (o paternità); per motivo illecito determinante (ad esempio, quale ritorsiva reazione nei confronti di rivendicazioni retributive del lavoratore) e ogni altra ipotesi di licenziamento riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge.
Nel contesto riformatore del Dlgs 23/2015 il legislatore ha invece voluto distinguere le ipotesi di licenziamento discriminatorio da quello nullo, ricomprendendo in quest’ultima fattispecie solo le nullità «espressamente» previste dalla legge.
In questa peculiarità si inscrive la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione che trova origine in un giudizio nel quale la Corte di merito aveva escluso la tutela reintegratoria poiché la nullità dedotta, pur sussistente, non risultava espressamente prevista quale sanzione.
La questione ha avuto a oggetto, in particolare, i limiti della delegazione legislativa (articolo 1, comma 7, lettera c), della legge 183/2014, cosiddetto Jobs Act) il cui eccesso, denunciato dai giudici costituzionali, investiva il confine del diritto alla reintegrazione ai soli licenziamenti viziati da una nullità espressamente prevista, escludendo, così, tutte le nullità diverse da quelle testuali.
Con un ragionamento diffuso, più che condivisibile se non altro per motivi sistematici, la Corte costituzionale ha criticato l’operato del legislatore delegato, definendolo «incoerente rispetto al legislatore delegante», che con la limitazione della tutela reale ai soli licenziamenti per i quali la nullità è espressamente prevista, ha privato di tale regime sanzionatorio le fattispecie di licenziamenti nulli ma privi di testuale sanzione.
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