No al full time, sul recesso incide anche la non rioccupabilità

Un nuovo articolo a firma dell’Avv. Angelo Zambelli è stato pubblicato su Norme & Tributi de Il Sole 24 Ore e nella sezione Contenzioso di ntplusdiritto.ilsole24ore.com.

No al full time, sul recesso incide anche la non rioccupabilità

Per la Cassazione devono mancare soluzioni diverse da prospettare al lavoratore. Al datore non basta dimostrare la sussistenza di ragioni economiche e organizzative

Risulta ormai consolidato in giurisprudenza il principio per cui in caso di rifiuto, da parte del dipendente, della trasformazione del proprio rapporto di lavoro da part-time a full-time e viceversa o, comunque, più in generale, di una qualsiasi variazione relativa alla distribuzione del proprio orario di lavoro, il recesso di parte datoriale può ritenersi legittimo soltanto qualora non sia stato intimato a causa del suddetto rifiuto ma, piuttosto, in ragione della sussistenza di «esigenze economico-organizzative, in base alle quali la prestazione oraria precedente non può più essere mantenuta» (si veda anche il Sole 24 Ore del 26 ottobre scorso).

Lo ha ribadito la Corte di cassazione, con ordinanza 30093 del 30 ottobre 2023, in relazione a una fattispecie in cui una lavoratrice era stata licenziata per giustificato motivo oggettivo a seguito del diniego opposto dalla stessa alla modifica della collazione del proprio orario di lavoro part-time propostole dalla società datrice di lavoro.

La Corte di merito, confermando la sentenza di primo grado, aveva respinto la domanda di impugnazione del licenziamento promossa dalla lavoratrice, e ciò sulla base, tra l’altro, dell’asserita riferibilità del divieto di licenziamento di cui alle «norme di legge e collettive» indicate in ricorso alle sole ipotesi di licenziamento per giustificato soggettivo; nel caso di specie, invece – secondo i giudici di merito – la ragione sottesa al licenziamento era da rintracciarsi in una «riorganizzazione aziendale tale da non rendere più utilizzabile la prestazione della odierna ricorrente» e, come tale, rientrante nel cosiddetto giustificato motivo oggettivo. La decisione, pertanto, veniva impugnata dalla lavoratrice dinnanzi alla Corte di legittimità.

La Cassazione, pur esimendosi espressamente dal sindacare l’effettività della causale organizzativa addotta dalla società, si preoccupa di far chiarezza sul tema del difficile equilibrio tra il divieto di licenziamento del lavoratore che rifiuta una qualsiasi variazione oraria protetta dalla legge e «l’eventuale insorgenza del giustificato motivo provocato da tale rifiuto, che potrebbe consentire un licenziamento per ragioni oggettive».


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